Come la sentii, capii subito che plans sur la comète fosse una delle espressioni più poetiche mai udite
prima. È quel suo connotato malinconico, quella sua natura che parla - tra le righe -dell’irrealizzabilità e
della difficoltà di introdurre nuove iniziative. Ma quello che sempre si perde in qualsiasi traduzione è
quell’elemento di sfida folle nei confronti di ciò che è lecito e di ciò che è facile. Non è certo
paragonabile a quei nostri tristi castelli in aria, che raccontano sogni e aspirazioni certamente destinati a
non realizzarsi nel breve periodo, e pertanto non meritevoli di interesse. In quelle quattro parole francesi
si concentra, sfumato e plasmato in un’interpretazione libera e nuova, un desiderio di oltrepassare
l’irrealizzabile.
È così che nell’inaugurare il centro culturale Spaziosiena - contenitore di idee e punto di aggregazione
innovativo, "zona libera" in cui dare vita a idee, visioni, alla voglia di futuro della città, e dove ospitare
mostre, dibattiti, concerti, un luogo insomma dove fare cultura - ci è sembrato importante presentare una
prima mostra che valorizzasse le giovani generazioni. Seguendo l’intento generale dello spazio, Piani
sulla cometa vuole raccontare, attraverso i diversi linguaggi artistici, i sogni, le vie di fuga, i progetti, di
cinque giovani artisti.
Piani sulla cometa vuole essere creazione di nuovi mondi, di nuovi paesaggi, come nel lavoro di Sofia Bteibet (Milano, 1990), dove le immagini scattate dalla sonda spaziale alla cometa 67P/Churyumov-
Gerasimenko durante la missione Cornerstone del programma ESA Horizon 2000 per l’esplorazione dei corpi minori del Sistema Solare vengono rielaborate attraverso la cianotipia.
Nel lavoro di Matilde Cassarini (Firenze, 1992) invece, la riflessione si fonda sull’idea dello spazio
profondo, del rapporto che ha l’uomo con l’universo, dei moti interni dei pianeti, luoghi così lontani da
poterne mettere in dubbio l’esistenza. Attraverso un video stop motion l’artista si interroga su quale certezza possa avere l’uomo, che si illude di dominare e possedere la natura.
Anche Andrea Lunardi (Pistoia, 1981) attraverso una mappa del cielo (realizzata prima sul bordo di
un’architettura effimera di carta a forma di prisma esagonale irregolare e poi su un cartamodello) vuole
suggerire le infinite possibilità di combinazione. L’incoerenza misteriosa di queste ipotetiche costellazioni
diviene un mondo possibile e instabile in cui l’incertezza diviene riflessione sulla trasformazione, sullo
scarto e sul cambiamento di ciò che ci circonda, creando nuove forme di senso.
Agathe Rosa (Annecy, 1987) interroga ed esplora i limiti della percezione attraverso 80 diapositive in
alluminio - frottage delle mura di casa - che oltrepassate dalla luce proiettano costellazioni sognate, quelle
nate tra il sonno e la veglia: è così che il domestico (la stanza) si apre al movimento continuo di aria e di
luce.
Giacomo Ricci (Siena, 1974) attraverso delle esili strutture geometriche, propone una serie di “solidi
piani”: un paradosso euclideo, dall’eleganza e finezza concettuale, una sfida alle regole della geometria,
dove la visione dello spazio - e i suoi confini - viene definita da una percezione illusoria (o
completamente personale). In questo contesto, le sculture diventano i corpi celesti dello spazio altro
creato dall’artista.
Negli interventi site-specific di RosaRicci (Siena e Marsiglia, 2012) la percezione visiva e quella uditiva
vengono alterate: fasci luminosi disorientano l’osservatore e ricordano la coda di una cometa e, dalle
cantine, un suono monotono, solitario e notturno invece ci trasporta al di là delle frontiere, alla rotazione
della Terra e ai cicli astronomici: è il canto di un assiolo percepito però come il segnale del primo satellite
mandato nello spazio; il risultato diventa magnetico, elettrico e ci immerge in un paesaggio dalle
dimensioni che diventano infinite.